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Manuale diSopravvivenza Manageriale

manuale pubblicato dal dottor marco rotella rivolto alla risoluzione dei più frequenti problemi manageriali

Quali sono le mosse da seguire, i passi da compiere e le scelte da affrontare per gestire al meglio il proprio lavoro? Dall’analisi di centinaia di casi trattati, nasce questa utile guida per offrire a manager, imprenditori e professionisti la possibilità di confrontarsi e di cercare la propria strada per migliorare.

Tutti i temi sono affrontati in modo diretto, pratico, a volte ironico, con esempi che ne facilitano la lettura e la comprensione e, soprattutto, l’applicazione nella vita di tutti giorni.

Perché migliorare il proprio lavoro si può.

Tabella dei contenuti

Breve guida per manager, imprenditori, professionisti intrappolati

Introduzione e metodologia

Nel corso di questi anni non so quante persone ho incontrato, quante esperienze ho toccato, quante vite ho incrociato. Non lo so, veramente non ne ho idea, ma sicuramente diverse migliaia. A volte penso che avrei voluto tenere traccia di ognuno di loro e questo per un motivo molto semplice: ogni incontro che ho fatto nella mia vita professionale, inevitabilmente, ha aggiunto qualcosa alla mia esperienza. Direi che mi ha arricchito, al di là di qualsiasi retorica. A conferma di quanto detto, vorrei raccontare un breve episodio. Diversi anni fa, un partecipante a un mio corso mi fece una domanda molto diretta. Mi chiese quale fosse, secondo me, l’aspetto più complesso del lavorare con le risorse umane. Era una cosa cui non avevo mai pensato e di conseguenza fui colto abbastanza di sorpresa. Poi, come spesso succede, la risposta nacque in modo assolutamente spontaneo. Gli dissi che, secondo me, l’aspetto più complesso fosse legato al fatto che lavorare con le risorse umane implica una grandissima responsabilità: la responsabilità del benessere altrui.

Ognuno di noi spende nel proprio ambiente lavorativo gran parte della propria vita. Se ci divertissimo a fare la somma delle ore che trascorriamo al lavoro da una parte, e dall’altra, delle ore che trascorriamo con la nostra famiglia e in società, non considerando naturalmente le ore in cui dormiamo, poiché mentre dormiamo non ci relazioniamo con nessuno, scopriremmo purtroppo che la bilancia pende dal lato del tempo che trascorriamo al lavoro. Che dramma! Passiamo più tempo al lavoro, con i colleghi, con il nostro capo, che con i nostri cari e i nostri amici. Se dunque il tempo al lavoro occupa una parte così importante della nostra vita, diventa di fatto indispensabile fare in modo che la qualità della vita durante questo tempo migliori.

Chi lavora a stretto contatto con le risorse umane ha la possibilità di incidere direttamente sulla qualità del lavoro, e quindi della vita, delle persone. Attraverso un momento formativo, una specifica attività di training, un colloquio di selezione, un team building, un incontro di coaching, si toccano sempre elementi legati alla relazione tra le persone, al desiderio di stare meglio, alla possibilità di superare momenti di difficoltà o di empasse. E questa credo sia un’enorme responsabilità.

D’altro canto però, a questa grande responsabilità, si contrappone l’enorme gratifica che proviene da tutti gli scambi relazionali, emotivi, personali e professionali. Ognuno di questi scambi è sempre sistematicamente fonte di crescita, di arricchimento, di apprendimento.

Questo è uno dei motivi che mi fa amare il mio lavoro e che mi ha spinto a scrivere questo libro: condividere con tante altre persone tutto ciò che io ho imparato in questi anni.
Negli ultimi dieci anni gran parte della mia attività si è concentrata sullo sviluppo di figure manageriali. Piccole aziende, grandi aziende, multinazionali: all’interno di ognuna di esse ho avuto l’opportunità di incontrare migliaia di figure che, avendo scelto (1) la carriera di manager, ambivano a un costante miglioramento della propria performance.

A prescindere da quegli scambi fonte di arricchimento di cui si diceva, la sensazione principale che ho potuto ricavare è che la stragrande maggioranza di costoro si trova spesso al limite di una condizione connotabile come di mera sopravvivenza. Naturalmente il riferimento è a una sopravvivenza legata al rapporto lavoro/qualità della vita: scadenze, richieste sempre più pressanti, obiettivi sempre più alti, persone da gestire, telefonate, incontri, riunioni, e potremmo andare avanti all’infinito. Molti manager vivono, pur avendo difficoltà a confessarlo, una vera e propria sindrome da schiacciamento (2) : si sentono affannati, impotenti, assolutamente non in grado di fronteggiare nel migliore dei modi tutto questo. Vivono momenti di ansia, a volte di vera e propria angoscia, l’irritabilità aumenta, le relazioni, professionali e soprattutto familiari, ne risentono in modo decisivo. In altre parole, si crea una situazione di stress permanente.

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Naturalmente, questo vissuto non fa che alimentare un circolo vizioso, poiché una condizione mentale di stress non facilita la performance e, non brillando la performance, aumenta il senso di impotenza e quella sindrome da schiacciamento che genera stress (fig. 1).

Una volta, stavo svolgendo un incontro preliminare a un’attività di coaching. È prassi che prima di avviare attività di coaching, coach e coachee si incontrino per conoscersi e comprendere se tra loro potrà svilupparsi una relazione efficace. Durante uno di questi incontri, dunque, chiesi al mio interlocutore di parlarmi liberamente della sua situazione. Cominciò a raccontarmi della sua vita lavorativa, inizialmente in modo timido, e via via sempre in modo più concitato e accalorato.

Mentre parlava, scarabocchiava su un foglio che aveva davanti a sé. Quando ritenne di aver terminato il suo racconto, mi chiese cosa ne pensassi. Io a quel punto attirai la sua attenzione sul foglio: c’erano abbozzi di parole, nomi appena accennati, numeri, geroglifici indecifrabili, linee che congiungevano un segno a un altro. Non era un semplice foglio scarabocchiato. I segni riempivano ogni parte, ogni spazio era ricoperto, in un modo o in un altro. In pratica un enorme caos. Quello era l’autoritratto della sua mente.

Esprimeva in modo preciso il suo stato d’animo. Vedi, gli dissi, questo sei tu. Tutto quello che hai dentro, continuai, è raffigurato su questo foglio. Guardalo e capirai tante cose, conclusi. Ecco, quella pagina scarabocchiata era il grafico preciso, l’elettroencefalogramma di ciò che io intendo con l’espressione sindrome da schiacciamento.

Le aziende, ancor più in momenti di difficoltà come quelli che stiamo vivendo da alcuni anni a questa parte, aumentano a dismisura il livello delle loro richieste. E questo non fa che peggiorare la situazione (3). È nata quindi in me, ormai alcuni anni fa, l’idea di provare a scrivere un vero e proprio manuale – nel senso di un testo veramente pratico, semplice, leggibile, che potesse essere usato tipo kit di sopravvivenza, e che aiutasse i manager desiderosi di migliorare a uscire da questa trappola lavorativa.

Credo possa essere utile segnalare che questo volume è pensato per essere utilizzato anche come libro di consultazione e, soprattutto, per essere riconsultato nel tempo. Le parti seconda, terza e quarta contengono la trattazione dei tre principali argomenti del volume.

Esse sono completamente autonome, indipendenti l’una dall’altra. Ciò significa che, per esempio, chi fosse interessato, in modo prioritario, agli argomenti lega- ti alla gestione della squadra, potrà leggere direttamente la parte terza.

Magari, in un momento successivo, potrà dedicare la sua attenzione agli argomenti della gestione del tempo, contenuti della parte seconda, op- pure cominciare a definire la propria capacità di lavorare per obiettivi, leggendo la parte quarta. L’unica parte del libro che è necessario leggere prima di affrontare qualsiasi altro argomento, è quella che state leggendo in questo momento: Introduzione e metodologia.

 

1. Tre ambiti per l’eccellenza

 

Naturalmente, quando si decide di lavorare a un kit di sopravvivenza, bisogna essere molto consapevoli di ciò che si inserisce al suo interno. Un po’ come quando, nel 1941, il fisiologo americano Ancel Keys fu chiamato dal Dipartimento della Guerra degli Stati Uniti con l’incarico di studiare un nuovo tipo di razione individuale, non deperibile e pronta per il consumo, che potesse facilmente essere trasportata nelle tasche dei soldati nel corso di operazioni di combattimento di breve durata. Dopo approfonditi studi e analisi, nacque la “razione K” (dal cognome di Keys), ancora oggi utilizzata in quasi tutti gli eserciti del mondo come kit di sopravvivenza.

Il sottoscritto, in realtà, non è stato chiamato da alcun Dipartimento, o Ministero, né tantomeno si trova a dover preparare un kit per affrontare una guerra, per fortuna. Però ho parlato di sopravvivenza, seppur psicologica. E allora ho sentito la necessità di dedicare grande attenzione a quali potessero essere gli strumenti da inserire nel nostro kit.

In realtà, l’aiuto più grande mi è venuto dall’osservazione e dell’analisi di migliaia di casi trattati. Sono partito da una semplice domanda: quali sono le aree in cui più spesso i manager si trovano in difficoltà? Quali sono gli ambiti in cui mi trovo più costantemente a lavorare? La risposta è stata semplicissima:

a. Gestione del tempo

b. Gestione della squadra

c. Lavorare per obiettivi

Ma procediamo per ordine.
Oggi, sicuramente, la gestione del tempo rappresenta una delle maggiori aree di difficoltà, e non solo per i manager. Il susseguirsi d’impegni, gli imprevisti continui dovuti alla caotica e approssimativa organizzazione di persone e aziende, l’affollamento di situazioni che spesso si dilatano nel tempo oltre il previsto, provocano veri e propri ingorghi operativi. E come nei normali ingorghi del traffico cittadino, tutto rallenta, quasi si ferma (o almeno abbiamo l’impressione che si fermi), il tempo non basta mai. Ognuno di noi spesso vorrebbe avere una giornata più lunga, più ore a disposizione. Ma le ore della giornata sono 25 solo in un bellissimo film di Spike Lee (4). Per tutti i comuni mortali, sono 24. Quindi, poiché il tempo è poco, e le cose da fare sono tante, anzi tantissime, nasce la necessità di organizzarsi nel migliore dei modi, pianificare, condurre attività. In pratica, nasce la necessità di gestire il tempo, anziché essere... gestiti dal tempo. Quali sono le modalità? Quali sono gli strumenti? Come si fa a prendere in mano le redini del tempo?

Questa sarà dunque la prima area operativa che tratterò nello sviluppo del nostro manuale di sopravvivenza e sarà trattata nella Parte seconda del volume.

Subito dopo, nel nostro ideale kit di sopravvivenza, sarà necessario introdurre gli strumenti per la gestione della squadra. Il sostantivo inglese manager deriva dal verbo francese manager, derivato a sua volta all’espressione latina manu agere, ‘condurre con la mano’, ‘guidare una bestia stando davanti a lei’. Col tempo, da manu agere si è passati a manàgere e da qui al verbo franco (e poi francese) manager e al sostantivo anglosassone manager. Il significato si è modificato, ma non eccessivamente: infatti manager significa tuttora ‘colui che conduce gli altri’.

Quindi, possiamo senz’altro affermare che un manager è prima di tutto qualcuno che guida una squadra. E può essere importante sottolineare che, quando parliamo di manager, non dobbiamo assolutamente pensare solo ai manager di grandi aziende che gestiscono centinaia di persone e milioni di euro. Manager è anche colui che gestisce una squadra composta da poche persone.

Alcuni anni fa, un manager di un’importante multinazionale mi rese partecipe di una riflessione veramente significativa. Mi raccontò che suo padre gestiva una piccola segheria di paese. Lavoravano con lui quattro persone. Continuando nel suo racconto, si stupiva del fatto che, ricordando le parole che sistematicamente suo padre ripeteva a pranzo e a cena, ritrovava problematiche assolutamente simili alle sue, che non gestiva una piccola segheria di paese, ma centinaia di persone all’interno di una multinazionale! “Ma com’è possibile?” mi chiedeva. La risposta è molto semplice: le squadre, i gruppi, sono formati da persone; e le dinamiche, le relazioni che si sviluppano tra le persone sono identiche, o molto simili, a prescindere dalle dimensioni dei gruppi e dal contesto in cui operano. Può cambiare il numero delle persone, possono cambiare gli zeri (milioni di euro o migliaia di euro), ma la sostanza rimane la stessa.

Gestire una squadra è spesso per i manager uno dei compiti più complessi e ardui del loro lavoro. Ma in questa operazione c’è una componente importante del successo, del raggiungimento di risultati di eccellenza e soprattutto del vivere bene in azienda. Le squadre di successo fanno il successo dei loro leader, allenatori, manager.

Questo argomento sarà trattato nella Parte terza del libro.

Il terzo elemento ricorrente nei casi da me trattati è sempre stato lo sviluppo della capacità di lavorare per obiettivi. Vorrei precisare che, quando parliamo di lavorare per obiettivi, non facciamo riferimento agli obietti- vi di fatturato, di marginalità, o cose simili. Anche, ma non solo. Certo quelli non possono essere trascurati in nessun modo, altrimenti avremmo poche opportunità di essere manager, perché la nostra azienda provvederà gentilmente ad accompagnarci alla porta.

Tuttavia, oltre alla capacità di lavorare per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, il manager deve sviluppare la capacità di lavorare su qualsiasi genere di obiettivo. Far crescere un collaboratore, portare avanti un’azione complessa di team building, modificare il clima all’interno della squadra, modificare delle procedure. Questi sono solo alcuni degli esempi che si potrebbero fare riferendoci a obiettivi con i quali un manager si trova costantemente a doversi confrontare.

Mi capita, sia durante l’attività formativa, sia durante l’attività di coaching, che i miei interlocutori mi parlino in modo chiaro e definito delle loro mete, delle loro idee, dei loro obiettivi, dei loro progetti. Altrettanto spesso però è evidente che la maggior parte di loro non ha assolutamente chiaro come fare a raggiungere questi obiettivi.

“Per favore, mi diresti come devo andare avanti?”

“In buona parte dipende da dove vuoi andare”, disse il gatto.

“Ah, veramente dove per me fa lo stesso”, disse Alice.

“Oh beh, allora è lo stesso anche come vai avanti”, disse il gatto.

da Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll

In effetti, se non abbiamo una meta precisa, è assolutamente irrilevante cercare di lavorare sul come andare avanti. È altrettanto vero, però, che se il dove è ben definito, ma non esiste un come andare avanti, allora spesso la meta diventa irraggiungibile. Il mondo è pieno di persone che non fan- no altro che ripetere che amerebbero tanto trasferirsi in Polinesia.

Poi alla prima domanda scopri che non sono mai neanche entrate in un’agenzia turistica a chiedere quanto costa il biglietto aereo! Mi piace pensare che imparare a lavorare per obiettivi sia un po’ come decidere di mettere le gambe alle proprie idee: così, imparando a camminare, le idee diventano progetti e imparano ad andare lontano.

Da tutto questo nasce la necessità di una metodologia che ci permetta prima di definire in modo chiaro, e poi di portare avanti e quindi centrare, obiettivi personali e aziendali. Questo argomento sarà trattato nella Parte quarta del libro.

 

2. Dalla teoria alla pratica

Una frase che mi capita spesso di ripetere durante le mie attività è “consapevolezza è metà della soluzione”. Con tale affermazione si intende definire il concetto secondo il quale solo acquisendo la reale consapevolezza dei propri limiti, delle proprie aree di miglioramento, di eventuali problemi relazionali (eh sì, si può dire anche problemi) diventa possibile lavorare al miglioramento del sé. Per intenderci, una persona con un tratto particolarmente aggressivo nella comunicazione, sino a quando non riuscirà a vedere questo suo comportamento, non potrà mai neanche pensare di migliorarlo (anzi potrebbe persino diventare più aggressivo quando qualcuno cercherà di farglielo notare).

Naturalmente, questo passaggio è di per sé tutt’altro che scontato. È sempre molto difficile confrontarsi e scoprire i propri limiti. Accettarli poi...
Questo il motivo per cui gran parte dei momenti iniziali delle attività formative, o di coaching, sono dedicati a lavorare sulla consapevolezza del sé.

Come si diceva, tuttavia, questo passaggio costituisce solo metà della soluzione. Perché il processo si completi, è necessario passare dalla consapevolezza al comportamento, cioè dalla teoria alla pratica. E qui cominciano i dolori.

Infatti, siamo tutti pronti, alla fine, a riconoscere di dover fare qualcosa per migliorare, ma passare all’atto pratico, beh questo è difficile assai. Tuttavia inevitabile. L’obiettivo principale di questo manuale, infatti, è proprio quello di invitare all’azione pratica, secondo una metodologia di facile applicazione.

 

3. Un manuale per l’attività quotidiana

 

Alcuni anni fa, l’amministratore delegato di un’azienda mi disse, in tono quasi canzonatorio, che per lui sarebbe stato molto più faci- le lavorare sulle cose di cui parlavamo insieme, se gli fossero stati as- segnati dei... compiti a casa. Ci pensai su, e mi resi conto che aveva perfettamente ragione. Da allora, la mia attività di coaching è sistematicamente contrassegnata dalla definizione, con il mio coachee, delle attività da svolgere, nel modo più preciso possibile. In effetti, quando entriamo nel campo del comportamento umano, è molto difficile per le persone percorrere una strada nuova. Le plasticità delle nostre sinapsi (5)ci predispone all’apertura, in modo spontaneo e naturale, verso nuovi orizzonti: il cervello si modella infatti in base alle esperienze.

Il nostro inconscio però, più conservatore, spesso ci spinge verso la coazione, i comportamenti ripetuti, a prescindere dal fatto che essi possano essere sani o insani per la nostra salute mentale. L’attività quotidiana consapevole, facendo leva sui meccanismi di plasticità neuronale, diventa un elemento fondante per attivare processi di modifica comportamentale.

Questo il motivo per cui, alla fine di ogni capitolo, sarà data grande attenzione all’analisi dell’apprendimento, alle azioni che ognuno potrà fare per mettere in pratica quanto si è appreso, alla valutazione dei propri risultati, e alla definizione di successive aree di miglioramento.

La compilazione e la successiva consultazione delle tabelle presenti alla fine di ogni capitolo diventeranno parte stessa del processo di miglioramento costante, un vero e proprio allenamento. L’invito è a considerare questo manuale come un percorso a tappe: le tabelle in chiusura di capitolo serviranno sempre a fare il punto della situazione.

 

4. La pratica del coaching: passo per passo cosa fare e come

 

Il coaching è una potente relazione di collaborazione che, focalizzandosi su comportamenti e attraverso un processo di scoperta, goal setting e azioni strategiche, consente il pieno sviluppo del potenziale del coachee. Possiamo anche definirlo come l’accompagnamento di un individuo, il coachee, o di un gruppo o un’equipe, da parte di uno specialista del cambiamento, il coach.

Ancora, il coaching è una relazione di collaborazione e partnership finalizzata al raggiungimento di obiettivi personali, relazionali o professionali. Agendo sull’autoconsapevolezza e sul proprio senso di autoefficacia facilita l’espressione e lo sviluppo delle potenzialità.

Sempre più ormai è opinione diffusa, in ambiti aziendali, che per aiutare il manager a raggiungere performance importanti, è necessario che egli sia supportato da un coach, né più né meno che un qualsiasi atleta.

Provando infatti a riflettere, troviamo molti aspetti in comune tra la vita di un manager e quella di un atleta. Entrambi hanno degli obiettivi da raggiungere, sono sottoposti a forti stress, devono cercare di dare il meglio di sé sia in solitaria sia in squadra, vanno incontro a successi e fallimenti.

Certamente, uno dei due, il manager, usa solo la forza mentale, mentre l’atleta oltre alla forza mentale, deve basare la sua performance anche sul fisico. Ma i punti in comune sono indubbiamente tanti, e particolarmente interessanti.

Ecco dunque il coaching a servizio del manager e, naturalmente, di chiunque altro voglia avviare un processo di miglioramento del sé.
La struttura di un intervento di coaching è molto semplice (fig. 2).

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Nella parte iniziale si lavora su quel principio di consapevolezza del quale ho parlato prima. In pratica si definisce il “dove sono oggi”. Si prosegue definendo quali sono le possibilità di sviluppo, quindi si lavora sul piano di azione, cioè sul come posso mettere in atto il processo di miglioramento, si evidenziano e rimuovono eventuali barriere, infine si prosegue definendo un punto della situazione e quali sono i passi futuri da intraprendere. Questo è esattamente il procedimento che seguiremo nelle fasi di sviluppo di questo volume, argomento per argomento. E le tavole in chiusura di capitolo saranno utili in questo senso.

 

5. Disciplina e costanza

 

Vi siete mai chiesti perché la maggior parte di persone dice “ lunedì, comincio la dieta”, oppure “a gennaio si comincia la palestra”, o ancora “dal primo del mese smetto di fumare“? Cioè, perché mai nessuno dica “oggi comincio la dieta”, oppure “da domani andrò in palestra”? Per un motivo molto semplice: allontanare la data d’inizio di un cambiamento importante rappresenta il miglior modo per... non affrontare questo cambiamento. Infatti, sino alla data d’inizio, ci sarà sempre un motivo che ci impedirà di fare ciò che abbiamo programmato.

E quindi lo rimanderemo, magari al lunedì successivo. Questo meccanismo, naturalmente, è il più delle volte inconscio. Come avremo occasione di specificare più avanti, la nostra mente lavora per schemi. Non posso approfondire in questa sede un argomento così affascinante sul quale i neuroscienziati stanno lavorando da qualche decennio. Scusandomi per l’estrema semplificazione, basterà dire che la nostra mente lavora per schemi mentali appresi e consolidati nelle prime fasi della nostra vita.

Modificare queste strutture è sempre piuttosto complesso, anzi, certamente lo scoglio più difficile da superare. Di fatto però, un processo di miglioramento del sé e della propria performance presuppone un processo di cambiamento innanzitutto delle proprie strutture mentali. Per questo la struttura di coaching aiuta. Come si fa, quindi? Come si può utilizzare questo manuale per cambiare? Nel paragrafo precedente, abbiamo reso evidente un aspetto importante.

Tuttavia, credo sia necessario definire altri due aspetti.

Potrà sembrare strano a molti, ma chiunque di noi sarebbe in grado di partecipare alla prossima maratona di New York. 42 km da percorrere! Impossibile, dirà qualcuno di voi, non riesco neanche a pensare di correre per 42 km, figuriamoci percorrerli veramente! Invece credo che chi si esprima in questo modo abbia torto. Sottolineo, che non ho detto vincere la maratona di New York, ma partecipare. Di fatto, qualunque persona, che goda di buona salute, potrebbe, con il dovuto allenamento, percorrere 42 km di corsa.

Dov’è il trucco?

Beh, il trucco è in due paroline magiche: dovuto allenamento. Questo significa che un esperto dovrebbe stilare per noi una specifica tabella di allenamento, dovremmo cominciare a lavorare sugli aspetti nutrizionali, e definire precisi step di controlli medici. Probabilmente per fare tutto questo saranno necessari diversi mesi, ma alla fine, se avremo seguito tutto alla lettera, saremo in condizione di percorrere la nostra maratona. Certo non di vincerla, ripeto, ma di arrivare fino in fondo, a passo di jogging, scegliendo noi il ritmo, certamente sì (6).

Nel cambiamento personale, la condizione è molto simile a quella appena descritta. C’è un obiettivo da raggiungere (il cambiamento), un esperto che ci aiuta con una tabella di allenamento (il coach), controlli periodici (tabelle di controllo), raggiungimento dell’obiettivo (risultato di cambiamento). Due ingredienti però, assolutamente insostituibili e necessari sono disciplina e costanza. Nulla si può affrontare, nessun cambiamento, nessun miglioramento, senza una forte disciplina e una costanza di attività. Anche diventando consapevoli del fatto che per vedere i primi risultati ci vorrà pazienza.

Quando si comincia un allenamento alla corsa, i primi kilometri sono terribili. Sembra che non si riuscirà mai nemmeno a percorrere 10 km, figuriamoci 30 o 40. Invece non è così. La costanza e l’allenamento ci permettono, man mano, di aumentare il nostro chilometraggio.

Nel cambiamento personale è esattamente la stessa cosa. All’inizio tutto sembra molto difficile, non si vedono i miglioramenti, e tante persone mollano. In realtà, se affronto tutto questo con grande disciplina, cioè applicazione sistematica dei piccoli cambiamenti definiti durante il percorso, e lo faccio con costanza, cioè tutte le volte che ne ho l’opportunità, tutti i giorni, sulla spinta di un forte desiderio di cambiamento, il cambiamento avverrà perché riuscirò a modificare i miei schemi mentali, strutturandone di nuovi.

Quindi non dimentichiamo: disciplina e costanza. Altrimenti non c’è manuale che tenga!

E ora, buon lavoro a tutti!

 

(1) Non è un caso che io abbia utilizzato la parola scelto. Nessuno obbliga un manager a diventare tale, è sempre una scelta. Ed è una cosa che ricordo sempre ai manager che si lamentano delle pressioni, dei carichi di lavoro, delle responsabilità.

(2) Mi preme evidenziare che la “sindrome da schiacciamento” non esiste in psicologia, ma direi che qui rende perfettamente il significato di ciò che stiamo esprimendo.

(3) Ma è possibile che per le aziende sia ancora così difficile capire che le persone lavorano bene, rendono bene, anzi meglio, quando stanno bene?

(4) La 25a ora è un film del 2002, diretto da Spike Lee, tratto dal romanzo omonimo scritto da David Benioff.

(5) La plasticità sinaptica è la capacità del sistema nervoso di modificare l’intensità delle relazioni interneuronali (sinapsi), di instaurarne di nuove e di eliminarne alcune. Questa proprietà permette al sistema nervoso di modificare la sua struttura e la sua funzionalità in modo più o meno duraturo e dipendente dagli eventi che li influenzano come ad esempio l’esperienza (cfr. Joseph Ledoux, Il sé sinaptico, 2002).

(6) Secondo il campione olimpico statunitense Jeff Galloway, tutti possono partecipare a una maratona, e concluderla. Il suo allenamento prevede una formula innovativa ed efficace, scelta ogni anno da migliaia di corridori, dai principianti ai più esperti.
Il metodo run-walk-run permette ai principianti di ridurre la fatica e portare a termine una maratona in soli pochi mesi, mentre i più esperti potranno migliorare i tempi di gara, minimizzando l’affaticamento e riducendo il rischio di infortuni (cfr. Jeff Galloway, Il metodo RUN-WALK-RUN, Eika edizioni, 2014).

copertina del manuale pubblicato dal dottor marco rotella rivolto alla risoluzione dei più frequenti problemi manageriali
Manuale di Sopravvivenza
Manageriale

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