“A insegnarci la malleabilità del tempo basta un piccolissimo dolore, il minimo piacere. Certe emozioni lo accelerano, altre lo rallentano; ogni tanto sembra sparire fino a che in effetti sparisce sul serio e non si presenta mai più.“
Julian Barnes, Il senso della fine, Einaudi, Torino 2012.
Vorrei tanto aver scritto io queste frasi, perché, pur riproponendo un tema già trattato in passato da filosofi e altri autori, quando le ho lette, ho scoperto che rispecchiavano esattamente il mio pensiero, cioè un concerto che mi capita di esprimere molto spesso quando parlo – in sedute di coaching o in aula – di gestione del tempo.
Mi riferisco al fatto che la nostra mente influisce in modo inequivocabile sulla nostra percezione del tempo. A tutti, infatti, è capitato di provare la sensazione del tempo chevola quando siamo impegnati in un’attività piacevole, gratificante, appassionante.
Al contrario, quando siamo coinvolti in attività noiose, ripetitive, stancanti, o semplicemente che non abbiamo voglia di fare, il tempo sembra non passare mai! In questo caso, le ore, i minuti si dilatano a dismisura. Guardare e riguardare l’orologio vuol dire solo avere la sensazione che le lancette siano pressoché ferme. Nel primo caso invece, come se fossimo coinvolti in un paradosso spazio/temporale, sembra che le lancette dello stesso orologio di prima girino più velocemente del normale.
Ovviamente non è così: il tempo è sempre lo stesso, il passare delle ore e la loro misura è ben scandita e definita in modo rigido e oggettivo dagli strumenti preposti. È piuttosto la nostra mente che ci conduce a percepire il tempo in modo diverso.
Per quanto questo elemento possa sembrare ovvio, se non addirittura banale, non lo è nella misura in cui vedremo come e quanto incida sulla nostra capacità di programmare e pianificare.
Per il momento, conserviamo il dato: la nostra mente influisce in modo importante sulla percezione che noi abbiamo del tempo.
Un altro aspetto molto rilevante da condividere all’inizio di questo percorso è legato a un piccolo paradosso: per imparare a gestire meglio il tempo, ci vuole tempo. Ma come, mi dicono spesso le persone, chi vuole gestire il tempo non ha tempo a sua disposizione, come fa a trovare altro tempo?
Semplicemente, ciò che voglio far comprendere è che uno degli aspetti fondamentali della gestione del tempo è dato dall’importanza di trovare momenti per organizzare e pianificare: momenti, in altre parole, in cui abbiamo la necessità di fermarci alla nostra scrivania – o in qualsiasi altro posto – e pensare alle nostre attività passate, presenti e future, in modo puntuale e organizzato, rigoroso. Questo processo attiverà un circolo virtuoso di cui si dirà più avanti.
Sempre più di frequente, le persone che hanno problemi a gestire il proprio tempo mi riportano frasi del tipo: “La mia vita sta fuggendo via, corre troppo in fretta”. In realtà, la sensazione di perdere il controllo della propria vita è la più frequente tra chi ha difficoltà nei confronti del tempo.
Molti anni fa era in gran voga la pubblicità di un noto liquore digestivo, consigliato “contro il logorio della vita moderna”. Certamente, se facessimo oggi riferimento al logorio della vita moderna, avremo tanto più da dire rispetto al povero Ernesto Calindri, il testimonial di quella campagna pubblicitaria, costretto a sorseggiare il suo amaro nel bel mezzo di un vorticoso traffico cittadino.
Quello che è certo, è che la quantità di attività, stimoli, interazioni, sollecitazioni che si ricevono nell’arco di una giornata è incredibilmente aumentata negli ultimi due decenni. Purtroppo tutto questo va a discapito della nostra capacità di attenzione, di concentrazione e quindi di controllo.
È risaputo, ed è esperienza quotidiana, che gli utenti di smartphone controllano lo schermo del telefono spesso anche quando non squilla, per verificare la posta o per comunicare via social network. Oppure per semplice nevrosi. Ora, uno studio curato dalla società americana Kleiner
Il tempo è una risorsa infungibile, limitata e deperibile. È infungibile per ché non possiamo scambiare il nostro tempo con il tempo di qualcun altro (17); è limitato perché non possiamo allungare la nostra giornata oltre il termine prefissato delle 24 ore (18); e tantomeno possiamo conservare in un magazzino il tempo che ci avanza in qualche caso (a dire il vero, raramente).
Tutto questo, dunque, ci obbliga a ottimizzare il nostro tempo.
In modo che potremmo senz’altro definire paradossale, in questi ultimi tre/quattro decenni, la qualità della vita è sicuramente migliorata, ma le persone sono generalmente molto più stressate perché non riescono più a gestire tutte le loro incombenze, con le risorse attualmente a disposizione.
La maggioranza assoluta delle persone che incontro mi riferisce che ha troppe cose da fare e non abbastanza tempo per farle tutte. In realtà, a un’analisi un po’ più critica della situazione, le cose stanno in un modo un po’ diverso.
Certamente, esistono delle situazioni in cui il sovraccarico d’impegni professionali e personali è veramente elevato. In modo particolare, questo riguarda spesso l’universo femminile, e in modo specifico le donne impegnate nel lavoro e con importanti incombenze familiari.
Purtroppo il nostro sistema sociale – mi riferisco all’Italia – ha senz’altro stimolato e avvantaggiato un avanzamento e un miglioramento della condizione lavorativa delle donne, ma non ha di pari passo adeguato le strutture sociali di supporto.
Mi è capitato moltissime volte di gestire situazioni di donne, manager e non, alle prese con una molteplicità di impegni veramente complessa e sfiancante.
Tuttavia, a parte queste situazioni, e alcune altre, di reale sovraccarico – dovute perlopiù a una pessima organizzazione aziendale o a situazioni di sottorganico grave – in gran parte delle situazioni che ho affrontato ho potuto riscontrare alcuni elementi comuni:
• alla base della mancanza di tempo vi è una grande disorganizzazione;
• la mancanza di tempo spesso diventa un alibi per proteggere le proprie inadeguatezze;
• in un contesto socio-economico in cui il lavoro spesso definisce lo status delle persone, affermare di essere molto impegnati e di non avere mai tempo, garantisce un credito nei confronti dei propri interlocutori.
Naturalmente, il problema della gestione del tempo esiste, ma è molto più legato alla struttura della nostra mente e alla nostra capacità organizzativa, di quanto si creda.
Come cercherò di dimostrare, ognuno di noi può fare molto per imparare a convivere meglio con il tempo che ha disposizione.
E, ovviamente, imparare a convivere meglio con il tempo non vuol dire immaginare di riuscire a guadagnare due ore al giorno da dedicare alla propria attività preferita, ma imparare a gestire le proprie attività personali e professionali in modo tale da migliorare la propria performance, essere più rilassati, essere più concentrati, in altre parole vivere meglio.
(17) A meno che non si parli del film In time, regia di Andrew Niccol, 2011.
(18) Cfr. nota 4, Introduzione.
Perkins Caufield & Byers (20) offre qualche statistica sulle reali dimensioni di quest’abitudine: in media si controlla il proprio telefono almeno 150 volte al giorno! Questo essere altrove – nel senso di non essere presenti nel momento, nel qui e ora – provoca un collasso di concentrazione che incide in modo drastico e determinante sulle nostre percezioni e sulla gestione delle nostre attività quotidiane.
(20) La ricerca è citata in http://www.corriere.it/tecnologia/cyber-cultura/13_maggio_30/occhi-smartphone-150-volte_e79633aa-c937-11e2-b696-db4a64575c16.shtml
© Marco Rotella - MR&A - Activemediasud srl P.I. 07160060724 Via Dante Alighieri, 25 - 70121 Bari (BA).