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Crescita e controllo del Retail tra Digital e Amazon: 6 Shopping Experience

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Copertina della news lettere retail oclock di marco rotella raffigura una mamma con suo figlio nel carrello che fanno shopping

Il sesto strumento a nostra disposizione è: la shopping experience nel retail.

Nel 1973, nel suo “Atmospherics as a marketing tool”, Philip Kotler, il papà del marketing moderno definisce che esistono degli elementi sensoriali che circondano il prodotto. Il concetto era che i nostri cinque sensi sono direttamente colpiti, da elementi naturalmente contenuti in un prodotto e questi elementi arrivano direttamente i nostri sensi: qualsiasi prodotto ha in sé effettivamente elementi che raggiungono la vista (praticamente tutti i prodotti materiali), o il tatto, l’olfatto, l’udito e, alcuni, il gusto. Basti pensare ad una maglia: prima la vediamo, poi la tocchiamo per testare il tessuto, e magari poi percepiamo il profumo del tessuto stesso. Oppure ad un profumo, che, se sconosciuto, prima ci conquista la vista con la sua confezione, poi naturalmente l’olfatto per l’essenza stessa, ma anche il tatto non può essere trascurato, nel momento in cui manipoliamo la confezione.

Secondo Kotler queste percezioni hanno un effetto deciso e preciso sulle sulle informazioni possedute dal consumatore, nel senso che le modificano radicalmente, e sul suo stato emotivo, decisivo per le decisioni di acquisto. Per comprendere bene queste dinamiche e le conseguenze su comportamento del consumatore è necessario fare un salto indietro e parlare brevemente di bisogni. Facciamo un esempio: mi serve una borsa, cominciano, “casualmente”, a colpirmi le pubblicità (in realtà c’erano già prima, ma solo ora la mia mente le “vede” e me le sottopone). Comincio ad operare una scelta, sulla base di alcune considerazioni “razionali” tipo: mi serve fatta così, con questi scomparti, ecc. ecc. Poi opero una scelta, e la mia decisione cade su un certo tipo di borsa. Ora, se andassimo a considerare precisamente il tipo di borsa acquistata, probabilmente scopriremmo che quella precisa borsa è usata da un certo tipo di persone e a me piace appartenere a quel gruppo, oppure scopriremmo che quella marca appaga il mio senso di Status sociale e mi identifica precisamente.

Questi ultimi sono tutti esempi di bisogni latenti, non espressi. E che magari il consumatore non sa nemmeno di avere. Quelli espressi sono quelli definiti sopra “razionali”. Il punto centrale viene fuori da una domanda: quali sono il reali bisogni che cerchiamo di soddisfare quando facciamo un acquisto? Quelli “razionali”? Assolutamente no, anche se noi crediamo di si… È proprio si questa soddisfazione di bisogni che si gioca il comportamento di acquisto. Kotler ha dunque definito come gli elementi sensoriali presenti nel prodotto incidono in modo indelebile sulle nostre informazioni e, soprattutto, sul nostro stato emotivo. La modifica del nostro stato emotivo aumenta in modo importante la probabilità che si verifichi un acquisto, e il gioco è fatto. Naturalmente il meccanismo si sviluppa secondo processi neurali ben più complessi di quelli specificati, ed oggi lo studio di questi meccanismi prende il nome di neuromarketing. Conclusione fondamentale è che dall’incontro tra scienza e marketing sappiamo che circa il 90% del nostro comportamento di acquisto è inconscio.

Tutto quanto sopra ci conduce al concetto di shopping experience: il presupposto fondamentale è che Il luogo e la situazione vengono prima dell’oggetto: non si acquista un prodotto, ma un’esperienza. Lo shopping che crea un’atmosfera Quali servizi offrire ai clienti che s’affacciano alle vetrine del negozio? Quali strumenti attivare, quali le risorse cui attingere? Nato Oltreoceano, è arrivato anche da noi lo “shopping esperienziale”, ovvero l’esperienza dell’acquisto trasformata in un percorso percettivo e sensoriale attraente, seducente, tonificante.

La shopping experience rappresenta un modello unico ed inimitabile del mondo del retail. Per quanto i siti di e-commerce si stiano attrezzando sempre più per rendere la nostra esperienza immersiva e totale, nulla potrà renderli simili a situazioni che possono essere create all’interno di un punto vendita. Tanto per fare alcuni esempi di situazioni esperienziali adottate da grandi marchi, possiamo citare quanto realizzato dalla Nike alcuni anni fa: CLIENTE AUTORE. Area dei nuovi Punti Vendita NIKE in cui il Cliente, supportato dall’Assistente di Vendita, può progettare la propria scarpa: 3 modelli base + di 5000 combinazioni a soli 120,00 Euro con consegna inclusa… ovunque. Il Cliente è partecipe in tutto il processo dalla progettazione alla produzione. Altro esempio è IKEA: CLIENTE OSPITE IN “OSTELLO” IKEA. Il magazzino Ikea di Furuset, uno dei due di Oslo, ha dato la possibilità ai propri Clienti di passare la notte sul luogo, in uno dei 30 posti letto. “Molti Clienti vengono da lontano, anche dal nord della Norvegia” spiegano i responsabili del Punto Vendita che hanno adibito questo servizio per andare incontro alle necessità di chi per visitare Ikea deve fare molti km. Come omaggio i Clienti possono fare colazione e portare a casa le lenzuola. Quanto può valere a livello esperienziale e emozionale dormire una notte “dentro” i prodotti IKEA? Naturalmente, quando parliamo di retailer “normali” non facciamo riferimento a Ikea o Nike. Ma non è questo il punto. Nessuno pretende che un semplice punto vendita sia in grado di strutturare operazioni come quelle descritte sopra. Ma imparare qualcosa dai più gradi si può, eccome. Un punto di partenza fondamentale sarebbe provare a rispondere alle domande seguenti: Domande guida per la valutazione dell’esperienza nel punto vendita Quali elementi potrebbero creare un’esperienza particolare dentro il PV per i Clienti? In che modo si potrebbe aggiungere emozione al processo di acquisto, sempre all’interno del PV? Quali strumenti, materiali o digitali, potremmo utilizzare per far partecipare di più il cliente all’acquisto? Per informarlo meglio e/o diversamente? Come potremmo rendere la sua partecipazione meno passiva e più interattiva o stimolante?

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